Introduzione
IL CLARINETTO DELLA PIAZZA ROSSA

<<Mosca, settembre 2003. Sono arrivata in città da poche ore, dopo un volo turbato da agenti atmosferici sfavorevoli e qualche difficoltà al check-in con il bagaglio, troppo ingombrante. Anche se sono venuta con poche cose, visto che la mia permanenza nella capitale É strettamente legata a motivi di lavoro inerenti alla mia attività di avvocato, e non per turismo. Dopo il disbrigo delle mie pratiche in città e le visite di rito che questo viaggio comporta per me, le ore libere dagli impegni presso Ministeri ed uffici amministrativi trascorrono un po' noiose, a causa della lontananza da casa, della solitudine, della mancanza di qualche interlocutore con cui conversare a ruota libera. L'unica compagnia di cui posso avvalermi, la sola persona che sa l'italiano, É un amico russo che conosce perfettamente la mia lingua avendo tradotto Leopardi in russo ed avendo anche pubblicato (sempre in lingua russa) la vita e le opere di Tiziano e di Vivaldi. Ma lui ad una certa ora non ha tempo (e forse voglia) di farmi compagnia, di portarmi a zonzo per la città; preferisce starsene a casa, a gustarsi la famiglia e i suoi nipoti nuovi nuovi, nati da poco. Tuttavia, avvertendo il mio disagio, da vecchio gentiluomo qual è, giusto per distrarmi un po' dalle mie noiose consultazioni cartacee, un giorno mi propone di farmi incontrare un altro italiano che - dice - sicuramente mi può intrattenere e sarà per me una piacevole scoperta. Detto questo mi fissa un appuntamento per il giorno dopo con Giuliano Gramsci.
<<Si tratta per lui di un amico da lungo tempo, ex compagno di studi; da bambini entrambi hanno frequentato la Scuola di Musica di Mosca.
<<Per un momento sono tentata di pensare che il mio amico (e interprete per necessità) si voglia prendere gioco di me e che fare la conoscenza piuttosto di un qualche furbastro, omonimo del figlio di Gramsci.
<<Ma non essendo io sufficientemente ferrata nella storia contemporanea italiana per fugare il mio dubbio decido di fidarmi e acconsento alla sua proposta. Stare al gioco e fingere di credere di incontrare veramente, di persona, proprio il figlio di quell'Antonio che, con la sua testimonianza coraggiosa e con l'opera letteraria, ha scritto una pagina indimenticabile dell'antifascismo e della cultura italiana del Novecento.
<<Giuliano - mi dice - vive a Mosca con la moglie e i figli e, a differenza del padre che ha pagato di persona per la sua militanza, lui invece non si è mai occupato di politica ed ha condotto una esperienza umana più defilata e silenziosa, esercitando a lungo l'attività di professore di flauto e clarino, presso il Conservatorio della capitale.
<<Intanto nelle ore che precedono l'incontro, che avverrà nella hall dell'Hotel National di Mosca, in me crescono l'ansia e la curiositÈ di fare questo incontro; mi accorgo che sto cercando di immaginarmi la persona nel suo aspetto esteriore.
<<Vorrei riuscire a riconoscerlo a prima vista, in mezzo alle decine di persone che affollano l'hotel. Voglio che con me si senta subito a suo agio; con quel nome che si porta incollato addosso, il minimo che io gli debba è una grandissima disponibilità! Spero tanto che possiamo diventare amici.
<<Giuliano Gramsci, alla prima apparizione, un po' mi spiazza; è diverso dall'idea che mi ero fatta del figlio di un martire e non corrisponde neppure a quella del musicista esule, emaciato e pensieroso. L'uomo che mi sta di fronte un po' trafelato indossa un berretto di lana in testa, quasi una cuffia, che toglie subito, con un gesto di galanteria, per salutarmi. Veste con un abbigliamento dignitoso, ma non proprio elegante, senz'altro molto lontano dal lusso che gli artisti della musica a volte esibiscono, pur dimostrando in questo un'apprezzabile sobrietà.
<<Nelle settimane che hanno preceduto il mio viaggio a Mosca mi sono lasciata sedurre dai ricordi delle mie letture giovanili ed ho rimesso mano a Guerra e pace. Proprio lì, nel romanzo di Tolstoj, c'è un personaggio, Platon Karataev, che ha la stessa dignitosa modestia ed umiltà di Giuliano Gramsci.
<<Lui non sa che io lo percepisco in questa prospettiva e si sforza subito di parlarmi, per vincere il mio evidente imbarazzo. Sono un po' stupita anche dal fatto che il suo italiano non gli permetta dialoghi disinvolti. Nel mio immaginario, per il fatto di essere il figlio di Gramsci, doveva parlare benissimo con accento sardo; ma d'altra parte posso capire che la sua componente russa sia la più forte, avendo trascorso in Unione Sovietica tutta la sua lunga esistenza. Nella sua voce comunque, al di là del disagio comunicativo, avverto qualcosa che mi attrae in profondità: una intensa simpatia umana che irraggia cordialità, nella leggerezza del tono che contrasta con la corporatura robusta, pesante, di questo ottantenne dal fisico da ussaro a riposo.
<<La dolcezza dello sguardo, invece, gli proviene direttamente dall'armonia che il lungo esercizio della musica ha iscritto sul suo volto.
<<Per questo mi sento a mio agio molto presto, e anche lui, dopo poco, timidamente esordisce: “Io non sono stato, mi creda, un uomo importante come mio padre, non sono stato forse nessuno, all'esterno della mia famiglia; ma se per lei questo non costituisce un limite alla nostra conversazione, allora credo che noi potremo parlarci oggi e quando lei vorrà. Ma non vorrei tediarla inutilmente; se il mio pensiero e la mia storia non le interesseranno molto, come credo non interessino a nessuno, io potrà sospendere il mio racconto in ogni momento”.
<<Queste parole, invece che risultarmi insignificanti, mi hanno aperto subito uno spiraglio, un passaggio dove infilarmi per raggiungere l'anima di quella ammirevole persona che mi avrebbe condotta senz'altro anche verso le sue radici, verso il padre.
<<Ma su questo argomento capivo che non avrei dovuto essere precipitosa; ero consapevole che la disponibilità del signor Giuliano era per il momento limitata al fatto che io gli fornivo la possibilità di ripassare il suo italiano, un po' addormentato, e poco di più. Le mie manovre di avvicinamento emotivo prevedevano anche la lettura di poesie, che facemmo insieme e che lui, da musicista amante della parola armoniosa, apprezzò molto.
<<Quando il terreno fu pronto, quando la confidenza ci portò a parlare dei nostri rispettivi figli, allora anch'io osai chiedergli di suo padre. La sua risposta fu secca ed immediata: “Cosa vuole che le dica di un padre che non ho mai visto?”.
<<Approfittai allora dell'occasione per fargli capire che mi interessava, da avvocato civilista, conoscere la sua vicenda umana di figlio, cresciuto senza avere avuto il padre vicino.
<<Lo rassicurai dicendogli che il racconto della sua esperienza avrebbe arricchito anche la mia competenza professionale, quotidianamente al cospetto di figli di genitori separati, soli come era stato lui.
<<Questa dichiarazione lo convinse a darmi un appuntamento per il giorno successivo, sulle panchine dei giardini della Piazza Rossa.
<<Ho trascorso con lui intere giornate a passeggiare molto lentamente, sia per l'instabilità della sua camminata, sia per il dialogo tanto affascinante quanto esclusivo.
<<Lui e il fratello Delio, anche se eredi di un grande nome, hanno vissuto al di fuori della storia. Finché il padre era vivo i rapporti tra lui e la famiglia sono stati tenuti esclusivamente dalla zia Tatiana e dalle lettere che lei portava in Russia, al ritorno dai suoi frequenti viaggi in Italia.
<<“Ogni volta che zia Tatiana tornava ci raccontava tante cose del suo soggiorno laggiù, ma a noi bambini, a me e a mio fratello Delio, dava notizie che non ci lasciavano capire nulla della verità di come nostro padre trascorreva la sua vita. Mamma Giulia e zia Tatiana, quando non volevano farsi capire da noi bambini, parlavano un italiano che noi non comprendevamo. Questo accadeva ogni volta che la zia tornava dall'Italia a casa, a Mosca, e noi due, pieni di curiosità, ci precipitavamo ad accoglierla.
<<Loro due si parlavano fitto fitto prima di darci una qualche informazione.
<<A noi la zia raccontava che nostro padre lavorava in Italia, che stava bene, ma che a causa del suo ruolo, molto importante, non gli era possibile spostarsi per venirci a trovare, ma che pensava sempre ai suoi bambini. Noi credevamo a quelle innocenti bugie, perché anche nelle sue lettere papà ci spiegava che stava bene, viveva in una bella casa e sperava di riuscire a fare un viaggio a Mosca per abbracciarciò.
<<I racconti di Giuliano, quelli nella Piazza Rossa, erano interroti da molti momenti di silenzio, momenti che tradivano un misto di emozioni: tristezza, rammarico, nostalgia e rimpianto.
<<A lui e a Delio era stata negata la verità sul padre e la possibilità di conoscerlo, apprezzarlo ed amarlo per l'uomo che era, per l'affetto che avrebbe potuto trasmettere loro.
<<A volte, mentre Giuliano parlava, mi sembrava di cogliere nei suoi occhi l'accenno ad un rimprovero, lungamente taciuto, alla madre Giulia e alla zia.
<<“Quando alla fine ho saputo della morte di mio padre, ne ho avuto uno shock. Il mondo mi è crollato addosso. Tutta la felicità e la trepidazione con cui l'avevo atteso per tanti anni, si trasformavano ora, in un attimo, in un dolore sordo e ossessivo, prodotto dalla certezza definitiva che non avrei mai più potuto incontrarlo. All'epoca non avevo ancora compiuto undici anni. Quel giorno terribile ho appreso com'era morto, ho saputo i particolari della sua prigionia, i sacrifici e le privazioni che aveva subito, la lenta e inesorabile malattia che lo aveva colpito. Non potevo d'un colpo razionalizzare tutto questo, accettare tanti dolori. Molte altre cose le ho imparate indirettamente, da una vicina di casa che mi raccontò i particolari della prigionia di papà in Italia. Io non volevo credere alle sue parole e reagii violentemente, dicendole che era una bugiarda. E nei giorni che seguirono a questa rivelazione mi rifiutai di passare davanti alla casa di quella donna; volevo cancellare dalla mia mente l'eco sinistra delle sue parole.”
<<Man mano che Giuliano raccontava io mi trasformavo in un'ascoltatrice sempre più attenta, tanto che lui si lasciò convincere, visto il mio interessamento e l'entusiasmo, a tentare un'operazione che, in fantasia, avrebbe potuto liberarlo definitivamente dal malessere che abitava nel suo animo, e che gli avrebbe permesso di realizzare quel desiderio lungamente represso, di un dialogo immaginario, sì, ma chiarificatore con il padre. Si sarebbe trattato di scrivergli delle lettere, visto che Antonio per il figlio non poteva avere voce, non avendola Giuliano mai udita. Da subito il progetto entusiasmò il mio interlocutore tanto da farmi fretta, nel timore che il cumulo di ricordi che stavano affiorando durante le nostre conversazioni potesse velocemente dissolversi, senza lasciare una traccia tangibile. Così le lettere che abbiamo scritto insieme costituiscono il testo di questo lavoro.

Anna Maria Sgarbi